(di antonio) – Per fare una nuova macchina o un nuovo strumento, bastava lo spazio di una intuizione. Le componenti culturali necessarie era possibile trovarle in un solo personaggio; quando coincidevano con qualità di intraprendenza nasceva l’imprenditore. Il prodotto che ne scaturiva, quasi sempre, trovava immediata collocazione. La domanda che l’aveva stimolata era frutto di una richiesta ambientale anch’essa intuita. Ancora oggi si producono nuove imprese in questa stessa maniera: su un’idea, su un dettaglio tecnico, su un bisogno relativo in qualche servizio. Il metodo, pur garantendo nuove nascite, non risolve il problema di coloro che partiti in precedenza, debbono produrre l’adeguamento all’accelerazione tecnologica in atto.
Non bastano più intuizione ed imprenditorialità, occorrono nuova cultura ed indirizzi attuali. Necessita la capacità di utilizzare l’intuito in un mondo non più lento nelle sue evoluzioni, ma dinamico., ove i prodotti restano validi poco tempo per lasciare il posto a nuove integrazioni più efficienti, pena il decadimento dell’impresa. Quindi diviene essenziale riuscire ad avere una visione globale del flusso e la conoscenza degli assiemi specifici da aggregare. Volumi di nozioni troppo vasti per piccoli gruppi produttivi, già altamente occupati a condurre le azioni nel loro interno. Mentre le quantità economiche proporzionate per la raccolta delle competenze utili, risultano insostenibili per fatturati medio-piccoli.
Entrando nel più specifico campo della componentistica, si evidenzia l’importanza dello stato di avanzamento tecnologico presente nei singoli prodotti, che destinati a far parte di assiemi più organici, ne definiranno la condizione di attualità sul mercato. E’ quindi essenziale che le conoscenze tecnicoscientifiche dell’intero spettro, di volta in volta disaggregato, possano penetrare nel microtessuto produttivo per rendere completo il ventaglio di competenze che, sole, possono garantire la dinamica dell’innovazione.
È in questo modo di concepire le risultanti dinamiche, quale somma integrata di competenze, che si possono ottenere moti costantemente creativi, lontani dai molti acerbi tentativi del “fai da te”.
Prendendo ora in esame il mondo della ricerca in Italia, per quanto lo osservo dall’interno, nel confronto con i metodi industriali, trovo uno stato di bassa, a volte bassissima efficenza. Noto anche l’enorme serbatoio di conoscenze, di visioni globali, di abitudini all’affrontare nuovi confini e di convivenza con quanto di più avanzato esista. Altro estremo, è lo scorgere frange di dilettantismo applicativo. Coloro che sono preparati per pensare nuovi esperimenti, spesso non hanno alcuna conoscenza delle tecniche meglio adatte e normalmente utilizzate nei processi industriali.
Nel nostro Paese è possibile trovare tutte le componenti per il continuo sviluppo di cui sopra, ma è evidente che esse sono separate in gruppi poco comunicanti. Questa ed altre considerazioni hanno condotto l’ENEA a definire un modo quanto più possibile concreto e mirato per l’utilizzo dei propri vasti contenuti culturali e strumentali, onde offrire una parziale risposta ai bisogni della comunità in termini di innovazione tecnologica.
Affrontando esperienze scientifiche quasi sempre ci si trova nella necessità di pensare a nuove funzioni tecnicoapplicative per la composizione degli apparati di sperimentazione. In queste circostanze sono nate moltissime idee tecnologicamente innovative, di norma finite però nel dimenticatoio con l’insieme sperimentale ormai esaurito. Altre volte, le soluzioni si formano nelle collaborazioni con ambienti scientifici di diverse nazionalità. Quasi sempre la strumentazione utilizzata è quanto di più avanzato esista sul mercato internazionale. Tutto questo ha costituito nel tempo un inimmaginabile magazzino di prototipi, di idee, di mezzi strumentali. E’ da questo magazzino che sono state estratte le materie prime per una delle azioni in corso di promozione industriale praticata, all’interno dell’ENEA, dal Dipartimento Tecnologie Intersettoriali di Base. Rivolta inizialmente alla industrializzazione di componentistica ottica ed otticomeccanica e poi sviluppatasi in altri produzioni, quelle meccaniche di altissima precisione e i sistemi automatici ad alta sensibilità.
Alla fine degli anni settanta ebbe grande impulso la ricerca sui laser di alta potenza di picco, per il loro probabile utile uso nella fusione nucleare. Si pensava che la lunghezza d’onda emergente da sorgenti utilizzanti miscele di gas a base di biossido di carbonio (CO2), potesse dare migliori risultati per la implosione dei microbersagli composti di isotopi di idrogeno. Bisognava formare cortissimi impulsi di luce all’infrarosso di altissima intensità, per poi concentrarli in stretta contemporaneità, e da più lati, su una piccolissima sfera contenente il materiale da fusione. L’enorme energia specifica che la pellicola esterna avrebbe ricevuto, ne avrebbe provocato una immediata vaporizzazione sotto forma di una violentissima microesplosione. Per reazione d’inerzia, si sarebbe creata una fortissima spinta verso l’interno a comprimere il contenuto, al punto di innalzarne la temperatura e la densità al di sopra dei limiti di fusione nucleare.
Lungo tutte le fasi del lavoro che condussero alla realizzazione del nostro primo sistema sperimentale, nell’ambito dell’argomento citato, trovammo grandi difficoltà per il reperimento dei componenti necessari. Per alcuni di essi fummo costretti a progettare e realizzare linee di piccola produzione. Quei componenti, o non esistevano sul mercato, o avevano costi proibitivi per le quantità delle quali avevamo bisogno. In una sperimentazione il cui elemento principale è il Laser CO2, le ottiche riflettive (specchi) sono di fondamentale importanza. Esse vengono utilizzate per indirizzare, ingrandire, dividere e focalizzare il fascio nei vari percorsi di volta in volta pensati. Non sarebbe stato possibile condurre felicemente in porto l’azione sperimentale se, per ogni piccolo cambiamento delle configurazioni ottiche, avessimo dovuto attendere i normali tempi di approvvigionamento dal mercato internazionale. Decidemmo allora di mettere in piedi un apparato che ci consentisse di produrre ottiche metalliche nel nostro laboratorio e ponemmo in essere una vera e propria ricerca tecnologica sulla lavorazione a specchio delle superfici, con monoutensili di diamante condotti ad alta velocità.
Nel frattempo si erano andati formando in Italia gruppi di lavoro intorno alle lavorazioni meccaniche (saldatura, taglio, trattamenti termici ed altro) mediante Laser CO2 ad emissione di potenza continua. FIAT, CISE, RTM ed altri iniziavano la penetrazione di queste tecniche all’interno dei cicli produttivi. Ma anche per essi risultava difficile poter sperimentare liberamente le possibili soluzione offerte dall’impiego fondamentale delle ottiche riflettive metalliche. Sarebbe stato impossibile progredire celermente e mantenersi all’avanguardia se non avessero potuto disporre di una fonte rapida e poco costosa di quei componenti. Per risolvere al momento il problema, decidemmo allora di avviare delle collaborazioni, nella prospettiva di comporre le competenze necessarie per giungere ad una vera e propria produzione di ottiche per laser CO2 industriali. Cos’, a titolo partecipativo, cominciammo la fornitura degli specchi prodotti nel nostro laboratorio, colmando quella lacuna al punto di coprire quasi interamente il fabbisogno nazionale di allora. Ciò contribu’ in maniera notevole alla maturazione delle conoscenze e delle applicazioni di quella tecnologia permettendo il mantenimento della posizione di vantaggio.
Nel 1982 furono varate nuove finalità per l’allora CNEN, che divenne ENEA con funzioni ampliate alla promozione per quelle attività che, nate per motivi scientifici, avrebbero potuto rappresentare validi argomenti di espansione industriale.
Del ventaglio di competenze necessarie per condurre alla industrializzazione i nostri oggetti, avevamo al momento raccolto: la cultura scientifica, la conoscenza del processo tecnologico sperimentale, la prospettiva d’uso nel settore dell’utenza con la prevedibile grande espansione, il supporto strumentale necessario, la via istituzionale sulla quale muoverci. Mancava la componente tecnica adatta per un’efficace trasferimento di quanto sopra sul piano industriale. Doveva essere una piccola impresa in condizioni di crescere insieme al mercato ancora in formazione, con una base produttiva di meccaniche di alta precisione e al suo interno strutture progettuali capaci di raccogliere il nostro apporto. Scegliemmo una Società di recente formazione, che aveva dimostrato le sue competenze attraverso la fornitura di cinematiche meccaniche di alta precisione per la macchina prototipale assemblata nei nostri laboratori.
Con la società CONTEK, divenuta nostra partner per questa impresa, si è andato formando un lento ma progressivo concerto di nozioni, azioni, risultati. Partiti dalle ottiche riflettive per laser, per conseguenza tecnologica siamo passati alla realizzazione delle macchine per la lavorazione ad altissima precisione di componenti meccanici; dai controlli sulle ottiche ai sistemi metrologici per linee produttive; dagli accessori per apparati laser ai sistemi; dalle cinematiche monoassiali ai manipolatori completamente automatici. La stretta connessione tra l’apparato tecnicoscientifico dell’ENEA e la capacità industriale della CONTEK, ha reso possibile quella integrazione di competenze che ha dato vita ad una struttura dinamica in continuo sviluppo. In quattro anni sono stati quadruplicati fatturato e maestranze. Sono state programmate ulteriori espansioni sia in unità produttive che in società derivate con il coinvolgimento di altri grossi complessi industriali.
Tutta questa attività è racchiusa in meccanismi tecnicoamministrativi estremamente snelli, se pur rigorosi nei riscontri. Regolari contratti definiscono il dare e l’avere in ogni fase delle attività con impegni bilaterali economici e tecnici. Il risultato deve essere comunque un nuovo prodotto immesso sul mercato e dalla vendita deve provenire il recupero degli impegni finanziari. Attraverso gli utili, e con i diritti di sfruttamento.
Ho descritto ciò che credo possa essere un modello, comunque perfezionabile, di ciò che occorra per integrare al meglio risorse diverse e disponibili, tese ad innovare e a concretarsi in nuove realtà industriali al passo coi tempi. L’augurio è che anche altri possano trarre vantaggio da questa nostra entusiasmante esperienza.
luglio 1987 (pub. aprile giugno 1988)
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