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Il progetto Giasone – terza parte

Notizie in… Controluce – aprile 1996 – terza parte

La macchina “Transfer” nel progetto Giasone

Come riuscire a riprodurre, in una macchina, l’intelligenza dell’uomo

di Armando Guidoni

Nei numeri precedenti di “Notizie in… CONTROLUCE”, abbiamo provato ad analizzare la teoria sulla quale il “Gruppo di Frascati”, coordinato da Antonio Botticelli (ENEA) e Gianfranco Turchetti (Oberon) ha basato il “Progetto Giasone” finalizzato alla realizzazione della “Intelligenza sintetica applicata“.

Abbiamo avuto numerosi incontri con il Gruppo di Frascati, durante i quali Antonio Botticelli ha cercato di trasferirci l’idea della loro emozionante esperienza.

Ricordiamo ciò che disse Antonio nel primo colloquio: L’idea generale molto banale! Dall’osservazione e analisi dell’intelligenza animale si cerca di riprodurre in modo artificiale ogni funzione elementare. Integrando insieme tutte le funzioni elementari, si sarà allora riprodotta, in una macchina, l’intelligenza dell’uomo.

In questo numero, continuando a fare associazioni fra il comportamento animale e le funzionalità delle macchine in progetto o già realizzate dal Gruppo di Frascati, cercheremo di offrire ulteriori elementi di analisi in modo da poter aggiungere un altro tassello utile alla comprensione di questa sconvolgente teoria che, come abbiamo già detto, è destinata a rivoluzionare il mondo della produzione industriale.

L’ambiente esterno.

L’ambiente esterno all’individuo, luogo ove si svolgono le azioni, entra attraverso i sensi e si ricostruisce attraverso le caratteristiche dell’individuo stesso. Tali caratteristiche costituiscono l’elemento portante della scena.

L’idea che l’individuo ha dell’ambiente viene continuamente modificata. Ciò avviene con una risonanza della rappresentazione, fino a diventare un modello stabile che è esattamente la configurazione dell’individuo e di ciò che gli sta intorno.

Se pensiamo ad una ipotetica “macchina”, oggetto di queste analisi, si può dire che in ogni momento essa “contiene” la ricostruzione di se stessa e di ciò che le sta all’esterno. E’ come se essa vedesse attraverso uno specchio; da una parte c’è la realtà mentre a fianco, riflesso, c’è il mondo virtuale. Lo specchio rappresenta la sua interfaccia con l’ambiente.

Con il passare del tempo, e con l’aumentare delle rappresentazioni immagazzinate, la parte che rimane più “stabilmente fissata” nella “memoria” dell’individuo è la conoscenza di se stesso.

Ogni volta che l’ambiente esterno si modifica, viene modificato anche quello virtuale (interno) attraverso i riflessi della “interfaccia passiva” (lo specchio). E’ come se la realtà venisse rappresentata con una serie di fotogrammi: ogni volta che si presenta un fotogramma nuovo il vecchio viene sostituito.

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Il “Groviglio” e la “saponetta sensibile” rappresentati in analogia con il cervello umano riferito all’ambiente esterno

La sensorialità e il “possesso dell’ambiente”.

Tutta la sensorialità dell’individuo, quella che interessa il corpo, può essere rappresentata come se fosse una sfera che al suo interno contiene l’individuo mentre all’esterno i sensori sono distribuiti con una densità di ricettori non costante. L’immagine dell’ambiente esterno passa attraverso questa superficie e viene ricostruita con un modello tridimensionale della scena (ologramma). Quando questo ologramma si forma, l’individuo acquisisce “l’impressione” dello stato esterno. Quando avviene che l’ologramma e ciò che viene percepito dall’esterno sono differenti, si prova una sofferenza. Viceversa, quando l’ologramma e ciò che viene percepito dall’esterno si contrappongono esattamente (risonanza stabile) si può dire che l’individuo abbia acquisito il “possesso” dell’ambiente.

La dinamica attiva nella macchina di Giasone.

Facciamo un pò di fantascienza. Senza essere avari (tanto è fantascienza) immaginiamo di costruire una macchina disponendo di abbondanza di strumenti, mezzi e tecnologia elettronica.

Nella macchina mettiamo una struttura elettronica, dotata di una nuvola di sensori, capace di percepire ciò che avviene all’esterno. Mettiamo, inoltre, una seconda struttura elettronica capace di riversare e mantenere in memoria (come in una lastra fotografica) la rappresentazione della scena percepita dalla prima struttura. La scena, attraverso la nuvola di sensori, viene ridotta ad una serie di segnali che viaggeranno all’interno di un “groviglio” di fili, immerso in una sorta di “saponetta sensibile”. All’uscita della saponetta si avrà una “sezione” di segnali che rappresenterà la “memoria della scena”, come se fosse una lastra fotografica dove ogni grano sensibile potrebbe essere associato ad uno dei segnali in uscita. La modificazione di uno solo dei segnali modifica la sezione in uscita. La condizione di staticità della scena è data dal livello zero dei segnali; più tale livello è grande (in assoluto) e maggiore è la modificazione avvenuta fra due scene successive.

Al di là della saponetta mettiamo uno pseudo-specchio che riflette la scena. Se non ci sarà alcuna riflessione, ciò sta a significare che la scena in oggetto è perfettamente identica a quella precedente. E’ come se la saponetta inizialmente avesse canali liberi attraverso cui riescono a passare i segnali fino ad essere riflessi dallo specchio; a mano a mano che la saponetta prende conoscenza della scena, i segnali che passano diminuiscono. Solo quando la saponetta avrà preso piena conoscenza della scena e solo quando questa non si modificherà più non si avrà alcuna riflessione finale, perché la saponetta assorbirà completamente i segnali, ovverosia perché i segnali avranno potenziale zero.

Ora immaginiamo di associare la produzione di un effetto “non voglio” ad ogni differenza riscontrata. Se la macchina trovasse nella scena una differenza, ad esempio un oggetto spostato, cercherebbe di rimetterlo al suo posto servendosi delle sue movimentazioni in maniera coerente ma disordinata. La “differenza” avrebbe causato una “sofferenza” che dovrebbe essere placata.

Immagina di essere uscito da casa dopo averla pulita e, al rientro, di ritrovare il pavimento sporco. A parte il pensiero di chiederti chi possa essere il colpevole, la prima cosa che cercherai di fare sarà di ripulire per riportare le cose al tuo livello di “contrapposizione stabile” (tranquillità).

La macchina.

Ora parliamo di un oggetto vero, di un “fresatore sintetico”. Con ciò si intende l’insieme fra la macchina fresatrice e la capacità che ha un fresatore di utilizzarla al meglio per realizzare la costruzione di un “pezzo”. Alla macchina viene fornita la “conoscenza di sé” e dello spazio di lavoro (ambiente esterno); vengono forniti, inoltre, il disegno di un pezzo grezzo, contenente il disegno di un pezzo finito, che la macchina traduce nel suo “mondo”, un pezzo di metallo da lavorare e un utensile (fresa).

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Una macchina “transfer” realizzata con il “Virtual Numerical Control” basato sull’idea “giasone”

Compito di questa macchina sarà quello di “ridurre” il pezzo grezzo fino a renderlo uguale a quello contenuto nel suo mondo, eliminando la loro differenza che rappresenta il luogo dei punti frequentabili dalla fresa. Per semplificare l’esempio immaginiamo una macchina capace di muoversi in una sola direzione. A questo movimento viene associato lo spostamento della fresa ruotante sul suo asse; un motore conferisce alla fresa velocità di avanzamento tanto più elevate quanto maggiore è la “sofferenza” della macchina, cioè quanto maggiore è la differenza fra ciò che la macchina “vede” (mondo reale) e ciò che ha “in mente” (progetto, mondo virtuale). L’operazione sia data dall’esecuzione di un foro in un pezzo metallico. La fresa comincia a ruotare e il “braccio” (il motore) la sposta verso il pezzo e poi nel pezzo. A mano a mano che la fresa penetra nel metallo diminuisce la sofferenza della macchina e diminuisce la velocità di penetrazione fino a giungere all’arresto che avverrà quando la macchina crederà di essere arrivata, cioè quando la differenza fra profondità realizzata e richiesta rientrerà all’interno della approssimazione delle specifiche di progetto.

E’ come se questa macchina avesse la capacità di uno scultore nello scolpire statue di marmo (ma non, vivaddio, di inventarle). Le braccia dello scultore guidano uno scalpello ed un martello che colpiscono la pietra per scavare le figure che la sua arte ha “creato” nella sua immaginazione, mentre i motori del fresatore sintetico guidano la fresa che artiglia il metallo per scavare il pezzo finale

La macchina “Transfer” convenzionale e quella di Giasone.

La macchina Transfer è una macchina complessa, corredata di numerosi utensili funzionali. Un pezzo meccanico passa automaticamente da un utensile ad un altro fino all’esaurimento del ciclo di lavorazione.

La macchina convenzionale si programma per una lavorazione fornendole in anticipo le traiettorie, le dimensioni, i movimenti, i parametri, ecc.. Questo lavoro specialistico può richiedere un tempo enorme. Bisogna provare e riprovare, interrompendo la produzione con gravi perdite economiche (si parla di macchine ad alto rendimento).

Con Giasone è sufficiente mezz’ora. Basta dare ad ogni modulo funzionale (ogni utensile) il disegno del suo oggetto di partenza e del suo oggetto finale. Ognuno svolgerà autonomamente il compito che gli è stato assegnato.

La macchina di Giasone è di una semplicità disarmante, oserei dire di una banalità esasperante! La macchina “vive” il processo seguendo i compiti che il mondo esterno gli assegna. E’come se il processo di lavorazione fosse definito da questa semplice frase: “guarda che questo pezzo è diverso da quest’altro; per favore, me lo fai diventare uguale?”.

L’interfaccia verso l’uomo non è importante: può essere un CAD, una telecamera, un microfono, ecc.; basta scegliere quella più opportuna in quel caso.

C’è la possibilità di assegnare alla macchina anche la destrezza della scelta dell’utensile; oppure questo compito può essere assegnato a un regista umano esterno.

C’è la possibilità di assegnare alla macchina anche la destrezza della lavorazione su materiali diversi (acciaio, alluminio, ottone, ecc.), con relazioni di sforzo di lavorazione, vibrazioni e finitura e comportamento di taglio in generale, lasciando fare a lei oppure scegliendo un programma di taglio predefinito, togliendole così questo tipo di autonomia.

C’è la possibilità, da parte del “ciclista” (chi definisce il ciclo di lavorazione) di assegnare compiti stabiliti ad ogni modulo; oppure di “far vedere” almeno una volta al modulo cosa deve fare, eseguendo la lavorazione su un pezzo campione (mondo reale) o tracciando le traiettorie con un mouse collegato al CAD (mondo virtuale). Tutto come se fosse un videogioco. Il regista si costruisce la “sceneggiatura nel virtuale”, come se questa fosse un cartone animato, e la passa poi alla macchina che la esegue nel mondo reale con le sue movimentazioni, i suoi utensili, le sue morse, …..

Armando Guidoni

NB: Le frasi in corsivo sono citazioni tratte dalle conversazioni con Antonio Botticelli

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