(di antonio) – A partire da quelle macchine rotanti della tornitura ove tante cinghie di cuoio si occupavano di trasmettere il moto.
All’inizio del turno, l’acqua avviava le grandi ruote del movimento. Poi vennero le vaporiere e ancora i motori elettrocondotti.
Il tempo delle prime lavorazioni di serie affidate all’esclusiva perizia di quegli uomini da quattordici ore al giorno.
Operai coi baffi.
Passano la loro vita su quelle leve e la loro pura immaginazione si colma di quei meccanismi. Assuefatti ad essi, ne divengono anima pensante.
Un approssimato disegno, ed immediatamente, nelle loro menti, si vanno delineando scene di armonico movimento. Ruote, utensili e leverismi danno corso al concerto che lascia emergere il “pezzo”.
Uomini applicati alle macchine.
Quella “macchina” ha chi la completa. Segue sceneggiature di balletto ove tutti i suoi organi coniugano quadri di traiettorie. Un uomo dedica la propria mente e la propria motilità a quell’insieme di “ferri”, sacrificando di sé, le enormi potenzialità. Quella macchina, senza di lui, è inutilmente ferma. Necessita di lui per produrre. Quell’uomo è la protesi intelligente di quell’oggetto.
Protesi intelligente della macchina
E tutto sarebbe continuato se quell’uomo non avesse scoperto la voglia delle altre sue risorse.
E tutto sarebbe continuato se colui che ordinava il gruppo non avesse trovato inefficente quell’eseguire ripetitivo mediante l’utilizzo intensivo delle singolarità umane.
Il problema della serie diede inizio allo sviluppo delle metodologie di memoria.
Prima vennero i dischi rotanti dai profili variati. Quelle camme, che applicate in coppia ai carri di movimento dell’utensile, lo conducevano in traiettoria.
L’uomo si ridusse a semplice servitore della macchina. Ad essa applicava e sottraeva il pezzo. Neanche più l’avvio e la fermata rientravano nei suoi compiti.
La perizia di quell’uomo era stata catturata da quegli automatismi. Essi sapevano riprodurre le sue manovre in una successione senza fine e senza distrazioni.
Il ricordo di quelle macchine era oramai passata nelle menti di altri uomini che concertandone i componenti ne registravano le sequenze. Camme, nastri forati, supporti di memoria e microprocessori assunsero il posto di quei primi “operai coi baffi”.
Era stata aggiunta una nuova fase intermedia. Tra la capacità immaginativa dei processi e l’attuazione, si era inserita la “memoria esecutiva”. Dalle “camme” si era passati ai controlli elettronici. Dai blocchi di “leve” ai PLC.
Ma ancora, se pur da lontano, si tratta sempre di “uomini dedicati alle macchine” e non di “macchine dedicate agli uomini”.
C’è sempre qualcuno che nel pensare un oggetto, per realizzarlo, deve ricostruire nella propria mente l’intera macchina per poi animarla di un “dettato sequenziale”.
Un uomo e le sue risorse innate. La sua capacità di coordinare i movimenti. Di ricordare ed attuare scene dinamiche. Di tradurre impressioni in linguaggio.
La “creatività”.
Tra una situazione desiderata ed una condizione disposta del presente, la nostra mente rilascia, emergenti dai suoi contenuti sedimentati del passato, tutte quelle tessere che, disposte in trama sempre più fitta, rendono il disegno dell’itinerario di azioni e di cose per quel passo dopo passo necessario alla realizzazione del desiderio. Un vero e proprio strumento di progettazione automatica che fa tesoro dei precedenti per costruire futuro.
La capacità di concepire gli “anelli mancanti”.
Quell’uomo dell’era preindustriale aveva memoria di ogni parte di quella macchina rotante. Ne immaginava l’utilizzo attraverso una serie di azioni. Ne otteneva in risultato l’oggetto che lui stesso od altri aveva altrettanto concepito quale “anello mancante” di un altro desiderio. Un intreccio quasi infinito di “desideri” e di “anelli mancanti”.
Concepimento del ponte tra desiderio ed ottenimento.
Evoluzione
Quando il risultato dell’evoluzione diviene ripetizione, quell’uomo si dispone a semplice attuatore. Esegue un dettato in qualche modo registrato e non crea più. Quanto aveva concepito in origine, è divenuto itinerario di azioni. Utilizza sé stesso quale manipolatore di cose e di dati. Attua.
La nostra mente è un volume che inequivocabilmente si va implementando di nuovi ambienti e di nuove sceneggiature. Il loro riemergere ci trova in essi immersi.
Una cascata di mondi eccitati dalle percezioni.
Vere e proprie rievocazioni, e noi stessi all’interno di esse. E se chiudiamo gli occhi al mondo reale, quello immaginario prende a condurci. Situazioni di sogno che divengono desideri quando il contesto ci colloca diversamente. E’ qui che compare spontaneo il senso dell’anello mancante.
Una scena desiderata che ha preso le sue mosse dalla coniugazione positiva di precedenti evocati. Deve essere trovato il ponte dei passaggi per il raggiungimento del quadro atteso a partire dalla configurazione del mondo attuale.
Emerge un sottile stato di “privazione”. Manco di quanto ho immaginato. Il presente diverso me lo sottrae.
Steresipatia.
Un quadro immaginato si confronta con un quadro reale attuale. Lo squilibrio tra desiderio e realtà.
Potenziale.
Energia di ricerca.
Emozione, che se ben utilizzata, darà luogo alla coniugazione degli elementi della “progettazione” dell'”anello mancante”. Se bloccata da una convinzione di “impotenza”, diverrà sedimentazione regressiva alimentata dall’autorisonanza cieca dell'”isterismo freudiano”.
Dati due quadri coerenti in confronto, la loro sottrazione logica estrae un “potenziale” anch’esso logico. Quel “resto” contiene l'”indizio” o gli “indizi logici” di quanto manca. Le “qualità” di quegli “indizi” e i “relativi discretizzati” del “potenziale” si uniscono a costituire “valenze”. Ovvero, “valenze di coerenza” pronte ad agganciare ed accogliere in sé gli “elementi di corrispondente coerenza” che si trovano tra i “materiali esperenziali”.
“Valenze di coerenza” che trovano “colmamento”.
L’insieme delle “valenze di coerenza” colmate dei materiali agganciati nel “mondo esperenziale”, costituisce il “modello” del “progetto”.
Ideogramma dell'”anello mancante”.
Se al “quadro attuale”, aggiungo o sottraggo gli elementi richiamati e condotti dalle “valenze di coerenza”, raggiungo l’adeguamento al “quadro voluto”.
Applicazione realizzativa del “progetto”.
Ottenuta la parte “creativa”, ovvero il “progetto”, eseguendolo, trasformo lo stato reale iniziale in quello voluto finale.
Quell’uomo dedicato alla macchina percepiva il disegno del “pezzo” da realizzare. La sua “mente” si “allertava” in “potenziale”. Curve, tratti, superfici, gole e quanto altro lo caratterizzava, divenivano “indizi” di “richiamo coerenti” delle semplici azioni compibili dalla macchina e da lui medesimo. Tutte scene che quella mente aveva catturato e sedimentato in precedenza.
Evocazioni.
“Emulazioni” riemergenti.
Sorta di ologrammi che si proiettano nello spazio immaginativo.
Formazione dell’itinerario dei quadri per il raggiungimento del pezzo voluto. L’anello mancante tra semilavorato e finito. Ciclo di utilizzo delle risorse di quella macchina e della destrezza di movimento e di percezione di quell’uomo.
Egli riconosceva le fasi quasi fossero fotogrammi di rifasamento per la coordinazione. E tra un quadro e il successivo ancora molteplici e semplicissimi “progetti emulativi”.
Nella mente di quell’uomo sussistevano gli elementi di forma e di coordinazione della macchina e di sé. Quegli elementi raccolti dalle “valenze di coerenza”, andavano a dar luogo alla successione delle configurazioni. Alla “sceneggiatura” attraverso la quale avrebbe preso forma definitiva quel pezzo.
Concerto degli strumenti disponibili.
Quanto aveva egli osservato della macchina e quanto aveva vissuto della dinamica delle proprie risorse, si erano congelati in ricordo in grado di ridivenire attualità. Manipolava senza sapere spezzoni di ricordi. Montava commedie che passo passo interpretava spontaneamente.
Nel suo spazio mentale si andavano ricostruendo le scene di quella commedia e man mano venivano uguagliate a quanto era realmente in avvenimento, “istante” per “istante”. Immediati sensi di pericolo si producevano al minimo scostamento tra passo di sceneggiatura e stato dell’attuando. Prendevano spicco le nuove “valenze di coerenza” create dalle differenze. Con i loro intrinseci “indizi” agganciavano altre sceneggiature nelle quali il pezzo era perduto.
Le “valenze di coerenza”, già emergenti quando la deviazione era ancora lieve, avevano evocato un nuovo progetto che trovava la sua conclusione in un oggetto diverso e quindi inutilizzabile.
Ai due universi, quello desiderato e quello reale, si andava sempre più sovrapponendo con forza il volume richiamato dalle nuove “valenze di coerenza”. L’attenzione era fortemente eccitata dal “potenziale” di differenziazione che andava crescendo man mano che veniva idealmente percorsa e confrontata la nuova traiettoria verso il suo nuovo risultato finale.
Una piccola deviazione è sufficiente ad emettere in “resto” le “valenza di coerenza”.
“Energia di ricerca” o, meglio ancora, l'”energia di agitazione”.
Un fotogramma atteso confrontato con un fotogramma ripreso dalla realtà in avvenimento. Le due figure contengono gli stessi componenti. Non vi sono presenze oggettive incoerenti. Ma qualcosa non torna. E’ la loro posizione di istantanea che si differenzia. Quindi è la sovrapposizione che rende un “resto”. Uno di quegli oggetti, l’utensile ad esempio, si trova in una posizione diversa da quella che occupa nel fotogramma atteso. E’ una parte di quell’utensile che “sfora” dall’altro “sé stesso”.
Quel resto contiene chiaramente la qualità dell'”indizio”.
La sforatura.
La quantità è li’ a definirmene la gravità.
L’elemento di “incoerenza” si riduce alla semplice posizione. Quella posizione è sotto il mio diretto controllo. Passa attraverso l’unica via che utilizzo di quella macchina: le ruote dell’avanzamento dei due carri ‘X’ e ‘Z’.
Dato un campo di disparati elementi finiti distribuiti secondo “a”, confrontando lo stesso campo occupato di quegli stessi elementi finiti ma distribuiti secondo “b”, la sottrazione logica di essi campi, darà luogo ad un terzo campo, “astratto”, costituito delle sole “sforature”.
Campi “monomorfi”
La mia mente.
Un luogo i cui contenuti possono riemergere divenendo “attuale”. Tanti spazi latenti pronti ad essere eccitati e ricondotti allo stato di “intorno”.
Emulazioni
Tanti oggetti. Ed io, di volta in volta, in quegli spazi. E con me gli oggetti.
Situazioni precedenti che si vanno sovrapponendo a quella attuale. Sequenze di quadri che si raccolgono richiamate da “indizi”. “Valenze di coerenza” che si colmano. Oggetti provenienti dai ricordi che si sovrappongono alle figure percepite degli oggetti concreti che ho davanti.
Doppie immagini.
Coincidenze e sforature.
Andamento delle coincidenze.
Traiettoria “monomorfa” del coincidere.
Estrazione del differenziale che non ha più la morfologia degli oggetti, ma della sola “qualità” della differenza.
Qualità parametrabile alla tendenza allo “zero”. Ovvero, l’azione richiesta prescinde dall’oggetto e tende alla sola qualità di uguaglianza.
L'”utensile” nel “fotogramma” appartenente alla sceneggiatura voluta. L'”utensile” nella corrispondente “istantanea” dall’attuale concreto. Sovrapposizione. “Sforatura” dell'”utensile” su sé stesso. Formazione della “sforatura”. “Vettore di sforatura”. Andamento della “sforatura”. Traiettoria della “sforatura”.
Senso di “pericolo”.
Divergenza assoluta.
Un’intera fitta rete di “uomini dedicati alle macchine”. Lo strato vicino, quale parte integrante dei movimenti di quei “ferri”. Altri uomini intorno. Un’atmosfera che si va rarefacendo di personaggi dedicati alle coniugazioni. Colori che man mano divengono. Il blu delle tute. I bianchi dei colletti. Ed ancora i blu dei doppio petto. Pochissimi, infine, indossano colori sfavillanti.
Macchine immerse in un ambiente di uomini. Volume unico per funzionare. Nuvola di cose ed intelletto.
E tutti corsero verso i colori sfavillanti. Le macchine persero l’anima. Lo sfavillio appassì.
Nessuno più nasceva tanto derelitto da sognare d’essere “operaio coi baffi”.
L’evoluzione della coscenza aveva dimenticato un anello di congiunzione. Cosa avrebbe sostituito le intelligenze di quegli “uomini dedicati alle macchine”? Cosa avrebbe ricostituito quella “dinamica collettiva”? Quel residuo volume produttivo di “colori”, come avrebbe soddisfatto tanta richiesta?
Le larve che in numero eccessivo affollano il bosco di primavera. Divorano germogli con voracità superiore alla loro capacità di accrescersi.
Regressione della qualità della vita.
Ma è l’uomo che crea le foglie di cui poi si nutre. Egli è servitore e padrone. Protesi di chi, protesi, gli produce colori.
Disimpegno graduale dalla presenza continua alla “macchina” che è iniziato con la capacità della memoria sintetica di restituire sequenze in precedenza dettate o apprese.
Necessità di colmare.
Anello mancante.
La “capacità sintetica” di coniugare sequenze.
Generatore di sceneggiature estemporanee.
“Emulazione” di traiettorie atte al raggiungimento dell'”obiettivo finale” qualunque sia il contesto di attualità.
Successione delle configurazioni verso il “termine”, a partire dalla ripresa dell'”attuale”.
Convoluzioni “elasticamente portanti”.
Stato di “quiete”. Panorama intorno che non produce “sforature”. La figura attuale non si differenzia dalla figura dell’attimo prima. La memoria del precedente coincide con la rilevazione dell’attuale. Non emerge alcun “potenziale”.
Quiete.
Un “obiettivo finale” invade la mia mente.
Un “obiettivo finale”, ma senza l'”itinerario” per raggiungerlo. Non lo percepisco dalla realtà. E’ ancora un “sogno”, una “metaidea” della mia immaginazione. Non ho il “progetto” dell'”anello mancante” per il suo raggiungimento. Non è nel campo del mio orizzonte. Sono nel mio “punto attuale” di partenza e “senza moto”. Sono “fermo”. Sono “lontano”.
Differenze.
Il “mondo attuale” è “privo” dell'”obiettivo finale”. Lo “stato” emergente è “negativo”. L'”indizio” conduce a cercare una “polarità positiva”. La relativa “valenza di coerenza” è verso un “positivo”.
Il “mondo attuale” è “privo” degli “oggetti” che costituiscono l'”obiettivo finale”. E’ “negativo” degli “oggetti”. Il secondo “indizio” conduce a cercare “oggetti”. La “valenza di coerenza” relativa è genericamente verso “oggetti”.
Nulla intorno mi rende “indizio” del mio “obiettivo finale”. “Privazione” montante del non averlo. “Steresipatia”. “Potenziale” crescente. Superamento dello stato di immobilità. “Energia di agitazione”. Movimento. Casualità del verso. Panorama intorno che muta. Emergono “sforature” tra “attuale” e “precedente”. Il fotogramma dell’attimo prima è diverso dal fotogramma rilevato nell’attimo presente.
Il “fotogramma attuale” con il “fotogramma precedente” dell’ambiente che muta dal mio punto di vista. “Positivo” perché in aggiunta al campo di “quiete”.
“Valenza di coerenza” con il “positivo”.
Aggancio.
Inizio del colmamento del “segno negativo”.
Un germe di “indizio” che indica valido il “moto” quale stato per il raggiungimento dell'”obiettivo finale”.
Il “panorama” muta.
Altro entra nel campo delle percezioni. La sottrazione del precedente con l’attuale. Emergono nuove presenze. “Oggetti” emergenti. Nasce altro segno “positivo”. Il “negativo” della “privazione” dell'”obiettivo finale” viene ulteriormente compensato. Gli “oggetti” rispondono e vengono agganciati dalla seconda “valenza di coerenza”.
Il “movimento” e le “oggettività” delle nuove presenze sono “indizi coerenti” dell'”obiettivo finale”. Il “moto” è per raggiungerlo. La scoperta di nuovi oggetti ne è il “prodromo”
Una “traccia”.
Memoria dell’avvenuto.
Restare sulla “traccia” non conduce. Definisce solamente lo “stato attuale” più vicino allo “zero” del raggiungimento dell'”obiettivo finale”.
Nel nuovo “spazio astratto” che raccoglie le “differenze” emerge la “dinamica”. Quella “traccia” diviene la “memoria” dell’azione. L'”idea” di un primo lieve “campo gravitazionale” nel quale devo essermi mosso.
La “privazione iniziale” avvia il “movimento”.
Il “movimento” diviene la “dimensione” dell'”astrazione”. Il “campo gravitazionale” nel quale vive lo stato “cinetico” in corso.
Le “nuove presenze” oggettive divengono “tendenza”, ovvero, ulteriore “dimensione gravitazionale” del movimento.
Confronti che lasciano “differenze”. “Percezioni” sovrapposte. Risultanze che trovano luogo in nuovi “spazi astratti”.
Perturbazioni.
L'”attimo precedente” e l'”attimo presente”. E subito dopo, l'”attimo presente” diviene l'”attimo precedente” che si confronta con il nuovo “attimo presente”. Nasce l'”attimo successivo”.
Futuro.
Resta un'”impronta” che ricade sull'”ente” soggetto dell’avvenimento. Un “campo gravitazionale” nel quale l'”ente” è immerso.
Mondi “gravitazionali”
Una “traccia” non precede. E’ solamente “passato”. E’ possibile prevederne il prossimo futuro riproiettandola nell’oltre.
Quella “traccia” resa dalla copresenza attiva di “campi gravitazionali”. Via via si costituiscono “valli” di diversa pendenza. Componenti di attrazione che si sommano conducendo “il proveniente” lungo una “traiettoria” assolutamente “morbida”.
Dal momento in cui l'”energia di agitazione” ha dato il “moto”, gli attimi precedenti sono l’ipotesi di quanto avverrà nel momento successivo all’attuale.
Inerzia
La memoria dell’azione è la registrazione degli stati precedenti. La sola ipotesi di futuro. Se scompare l'”obiettivo finale” e nulla contrasta o favorisce, tutto continua uniforme. I livelli attuali, non perturbati, restano tali. Il “fotogramma dell’attuale” è identico al “fotogramma del precedente”. Resta lo “stato uniforme”.
Quell'”operaio coi baffi” produce quella traiettoria manovrando quelle due ruote. Tutto è tranquillo nel suo interno. Le mani vanno. Egli è sensibile alle sole deviazioni. Il restare fuori di esse corrisponde al “minimo tensionale” dato dal solo “obiettivo finale” che ancora resta docile attraenza.
Una “traccia” lasciata dall’avvenimento. Il resto a confine.
La “traccia” restituisce quanto necessita per il mantenimento dell’uniformità delle qualità e delle quantità del corso. Di qua e di là, il “nulla”. Ovvero, la perdita definitiva dell'”obiettivo finale”.
Innalzamento di “campi repulsivi”.
Potenziali di rientro
Energia di rientro.
Alle spalle del tempo, quei “punti attuali”, precedentemente superati, divengono “vettori del moto”. La dinamica del passaggio avvenuto muta in immediato bagaglio esperenziale che, restituito, tende a sostenere continuo il procedere. La memoria dell’evento dinamico avvenuto, diviene potenziale per il mantenimento.
Essere nel giusto è definito dal solo non essere nell’errore.
Inoltrarsi nel campo di un “obiettivo sbagliato”, significa andare incontro ad un “campo repulsivo”. Si forma un “fianco” per il quale si “rientra”.
Dal lontano scaturire dell'”energia di agitazione” in poi, si è innalzato il “potenziale” del “soggetto”.
Potenziale dell'”ente”.
Dallo stato “zero” iniziale precedente il “sogno”, le “coerenze” emergenti hanno mantenuto vivo il moto. Le “incoerenze” che si andavano delineando hanno prodotto “rientri”.
Quell'”ente”, soggetto della dinamica, che estemporaneamente è al “punto attuale”, sul termine della traccia, si trova in un “anfiteatro” di potenziali che lo conducono elasticamente a continuare sull’unica “via di fuga”.
Via di fuga di uno “stato dinamico”.
Uno spazio contenuto nel contesto mentale. L’altro è il concreto, l’originale.
Qualunque modifica avviene all'”originale”, è ripetuta nel “virtuale”.
Qualunque modifica avviene nel “virtuale” per effetto della comparsa di un “obiettivo finale”, avvia il processo di “progettazione” dell'”anello mancante” per il “ripristino” dell'”uguaglianza”.
Attraverso gli occhi, il mondo esterno si è ricostituito nel volume virtuale della mia mente.
Nella mia mente avvengono i “confronti” ed i “progetti” degli “anello mancanti”.
Attraverso il “controllo” sulle “braccia” agisco sulla materia reale per il “ripristino”.
L’utensile è costantemente presente, attimo per attimo, nei due mondi. Ed è sempre là dove si trova. Istante per istante è riflesso nella mia mente insieme a tutto quanto fa la scena. La mia mente vive quel movimento. La mia mente “emula” quanto avviene nella realtà. Attraverso gli occhi, mi si proietta lo spettacolo. Nel mio spazio emulato, “vola l’utensile”. E “vola” ogni altra cosa che intorno a me è in movimento.
Lo spazio interno coincide con lo spazio esterno. L'”emulato” è sovrapposto al “concreto”. Non c’è altro a “perturbare” e “contemplo”. Serenamente mi ritrovo sullo “zero” delle mie sensazioni.
Quanto avviene sedimenta in “bagaglio esperenziale”.
Altro, in precedenza, era avvenuto. Altro in precedenza era sedimentato in “bagaglio esperenziale”. Altro sta “avvenendo”.
L'”obiettivo finale” reso nell’immaginazione “emulativa” dell'”oggetto” finito. Lo “stato attuale” reso nell'”emulazione” mentale dell'”oggetto grezzo”.
Dall'”attuale” al “desiderato”. Dal “grezzo” al “finito”
Estrarre il “finito” dal “grezzo”. Quello strato di metallo mi separa dal “desiderato”. La differenza è quello strato di metallo.
L'”oggetto” da estrarre dalla tornitura. L'”oggetto” da estrarre per mezzo del volo dell’utensile. Il volo dello spigolo tagliente dell’utensile. Un volo radente sulla superfice di quell'”oggetto finito”, all’interno di quello “strato di metallo”.
L'”emulazione” dell'”oggetto finito”, sottratta all'”emulazione” dell'”oggetto grezzo”, rende l'”emulazione” dello “strato di metallo”. L'”emulazione” dello “spigolo di taglio” deve non uscire dall'”emulazione” dello “strato di metallo”. L'”uscita” crea la “privazione” dell'”obiettivo finale”.
In un tornio, la convoluzione delle dinamiche relative allo spigolo di taglio dell’utensile sul pezzo, definisce esclusivamente inviluppi cilindrici. Il mondo dinamico di un tornio è tutto lì. Quello “strato di metallo” è assolutamente “coerente” con quella dinamica.
La sottrazione dell'”oggetto finito” dall'”oggetto grezzo”. La comparsa dell'”oggetto sovrametallo” che diviene “spazio di volo” nel quale potrà e dovrà aggirarsi l”oggetto spigolo di taglio” dell’utensile. La creazione dei “volumi tracciati” all’interno dell'”oggetto sovrametallo”. Gli “oggetti trucioli”. La scomparsa dell'”oggetto sovrametallo” per “sottrazione” dei “volumi tracciati” .
Un “diminuendo” costituito dell'”oggetto grezzo” al quale viene applicato l'”oggetto finito” nella funzione di “sottraendo”. Il “resto” è l'”oggetto sovrametallo”. Un altro ciclo ed il “sovrametallo” è il nuovo “diminuendo”. Ad esso vengono applicati gli “oggetti trucioli” a “sottraendi”. Al termine dell’itinerario di sottrazioni si ottengono lo “zero” che definisce la scomparsa dell'”oggetto sovrametallo” ed i “sottraendi” che costituiscono la schiera degli “oggetti finiti”. Gli “oggetti truciolo” e l'”oggetto pezzo finito”.
Una successione di “sottrazioni” che lasciano emergere ogni volta l'”elemento” al quale produrre l’azione di “sottrazione” successiva.
La mente di quell'”operaio coi baffi” acquisiva il “modello” del “pezzo finito” ed il “modello” del “pezzo grezzo”. Poneva il primo a “sottraendo” del secondo ed otteneva in “resto” il “modello del sovrametallo”. Dai “contenuti esperenziali” sedimentati dal passato, raccoglieva, per “coerenza”, i “modelli di truciolo”. Da quegli stessi “pacchetti esperenziali” emergevano le relative “forme degli utensili” e le “dinamiche d’utilizzo”.
Il “profilo” del “pezzo finito” diveniva il tracciamento scandito dalla successione dei passi di truciolo da sottrarre.
Nell’azione su quella macchina, ogni deviazione dalla “sceneggiatura” concepita avrebbe segnato l’avviamento alla perdita del pezzo.
Copyright © 2015 Controluce - link a Notizie in... Controluce - link al sito dell'ENEA |
|